argomento: Giurisprudenza - DIRITTO FALLIMENTARE
La Cassazione ha rilevato che «il limite dell’azione di rilievo di cui all’art. 1953 c.c., resta governato da un possibile petitum di solo facere, e non di dare, dovendosi escludere che il fideiussore, prima di avere pagato e così onorando la garanzia, possa conseguire con quell’iniziativa e a propria volta il pagamento da parte del debitore garantito».
Ragion per cui, per la Suprema Corte, «la condizione legittimante l’istanza di fallimento di cui all’art. 6 L.F., prescinde dal contenuto della pretesa di credito e dal tipo di azione in altra sede giudiziale intrapresa a sua tutela, operando anche quando essa non integri una prestazione monetaria e purché tuttavia l’oggetto del credito sia tale da potersi convertire, all’instaurazione del concorso, in una posizione soggettiva astrattamente ammissibile al passivo, quale non sarebbe il facere cui solo può pervenire l’iniziativa spiegata ex art. 1953 c.c. e sempre che, come non avvenuto nella specie, una pronuncia condannatoria ad un dare non sia comunque – per autonome ragioni – divenuta definitiva».
Sicché, conclusivamente, la Cassazione ha affermato il principio in forza del quale «il fideiussore che, escusso dal creditore garantito, non abbia provveduto al pagamento del debito, non è legittimato, ai sensi dell’art. 6 L.F., a proporre l’istanza di fallimento contro il debitore principale per il solo fatto di averlo convenuto in giudizio con l’azione di rilievo ex art. 1953 c.c., atteso che tale azione non lo munisce di un titolo astrattamente idoneo ad attribuirgli la qualità di creditore concorsuale in caso di apertura del fallimento», dovendo escludere, «per altro verso, che il diritto del fideiussore al regresso (o alla surrogazione nella posizione del creditore principale) possa sorgere, ancorché in via condizionale, anteriormente all’adempimento dell’obbligazione di garanzia».
La pronuncia della Corte di Cassazione dell’11 novembre 2020, n. 25317, è reperibile sul sito www.ilcaso.it al seguente link: