argomento: Giurisprudenza - DIRITTO FALLIMENTARE
La Suprema Corte ha ribadito che «l’azione di responsabilità contro il curatore revocato, prevista dall’art. 38 L.F., ha natura contrattuale, in considerazione della natura del rapporto (equiparabile lato sensu al mandato) e del suo ricollegarsi alla violazione degli obblighi posti dalla legge a carico dell’organo concorsuale».
Ragion per cui «dal curatore si pretende non già un livello medio di attenzione e prudenza, ma la diligenza correlata (anche) alla perizia richiesta dall’incarico professionale, secondo specifici parametri tecnici, sia pure con la conseguente facoltà di avvalersi – a fronte di problemi tecnici di particolare difficoltà – della limitazione di responsabilità contemplata dall’art. 2236 c.c. (che esonera da responsabilità in caso di colpa lieve)».
Sicché, per la Cassazione, «ai fini della responsabilità del curatore fallimentare, risulta irrilevante l’eventuale autorizzazione del giudice delegato» che potrà al più rilevare «ai fini di un concorso di responsabilità dell’organo giudiziale».
Di conseguenza, il Supremo Collegio ha cassato con rinvio la decisione della Corte di Appello di Roma impugnata, per la quale, viceversa, «l’autorizzazione del giudice delegato avrebbe interrotto il nesso di causalità tra la condotta del curatore e il danno lamentato dalla curatela fallimentare».
La pronuncia della Corte di Cassazione del 2 luglio 2020, n. 13597 è consultabile sul sito www.ilcaso.it al seguente link: