argomento: Giurisprudenza - DIRITTO FALLIMENTARE
La Suprema Corte (Ord. del 25 ottobre 2018, n. 27120) ha stabilito – «in vista di un complessivo bilanciamento degli interessi dei soggetti variamente legittimati ad assumere iniziative per la regolazione della crisi e dell'insolvenza» – che «la rinuncia alla proposta di concordato non soffre del limite temporale imposto alla sua modifica (prima del 2015 “l'inizio delle operazioni di voto” ex art. 175 L.F., ora "quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori" ex art. 172, 2° co., L.F.), in quanto destinata all'arresto dell’iter concordatario».
Inoltre, «ragioni di economia processuale rendono ragionevole la tesi per cui, a fronte della nuova proposta e della eventuale desistenza di creditori e pubblico ministero dalle istanze di fallimento pendenti, il Tribunale non sia tenuto a chiudere comunque la procedura concordataria non andata a buon fine, ai sensi dell'art. 162, 2° co., L.F. […] ma possa invece dare corso alla nuova proposta, nei limiti temporali fissati dall’art. 181 L.F.». Soluzione, questa, «favorevole anche alla massa dei creditori – sempre che si tratti di rinunzia alla "proposta" e non alla "domanda" di concordato – in forza del principio di consecutio procedurarum ora recepito dall’art. 69 bis, 2° co., L.F., che fa retroagire i termini per le azioni revocatorie e di inefficacia "dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel Registro delle imprese"».
Viceversa, «nella persistenza di istanze di fallimento, il Tribunale è tenuto a valutare la sussistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi di cui agli artt. 1 e 5 L.F. per l’apertura del fallimento, sia pure tenendo conto della nuova proposta del debitore, ove in ipotesi idonea a scongiurare o superare lo stato di insolvenza», dovendosi parimenti «valutare il carattere eventualmente dilatorio, e come tale abusivo, della nuova proposta».