argomento: Giurisprudenza - DIRITTO FALLIMENTARE
La Corte di Cassazione (Cassazione del 19 giugno 2018, n. 16132) ha stabilito che sono improponibili, «per difetto di legitimatio ad causam», le domande proposte dal fallito «volte a caducare la transazione conclusa dal curatore, dovendosi negare al debitore tornato in bonis, come a qualsiasi altro soggetto, la possibilità, una volta chiuso il fallimento, di rimettere in discussione, con effetti reali, l’operato degli organi della procedura ed in particolare del curatore, che è un organo del tutto peculiare, posto che cumula la rappresentanza insieme del fallito e della massa, di talché non è in definitiva riconducibile né all’uno né all’altra».
Di conseguenza, aggiunge la Corte, stante l’immanenza – nel nostro ordinamento – del principio «di intangibilità delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in base al piano di riparto», «il fallito che ritenga di essere stato danneggiato dall’attività, a suo avviso sconsiderata, del curatore, può, una volta recuperata in pieno la sua capacità, attivare la sola tutela risarcitoria e non pretendere di rimettere in discussione l’intangibile e conclusa da anni attività di riparto dell’attivo».