argomento: Giurisprudenza - DIRITTO FALLIMENTARE
Trattando dell’azione revocatoria ex art. 67 L.F., il Tribunale di Mantova ha rilevato che, «nel momento in cui il legislatore ha previsto come ipotesi di esenzione che le rimesse non sono revocabili se non riducono in maniera consistente e durevole l’esposizione debitoria della società fallita nei confronti della banca, perde di significato la circostanza che le rimesse siano pervenute su un conto passivo scoperto o solo passivo posto che il ripristino della provvista a favore del cliente non ha più alcuna rilevanza, essendo riconosciuta ex lege natura solutoria a tutte e sole le rimesse finalizzate all’estinzione del debito contratto nei confronti dell’Istituto di credito».
Inoltre, con specifico riferimento all’esimente prevista dall’art. 67 L.F., 3° co., lett. b, L.F., il Tribunale ha precisato che, «quanto al criterio della consistenza delle rimesse, per cui sono revocabili solo quei pagamenti oltre che durevoli anche di entità significativa, in grado di ridurre il debito in maniera apprezzabile, è lo stesso dettato normativo che consente al giudice una discrezionalità nell’accertamento dei presupposti per l’applicazione dell’esimente, e nel compiere questa valutazione pare condivisibile l’orientamento che reputa consistenti i versamenti di importo non inferiore al 10% del massimo revocabile ai sensi dell’art. 70 L.F. (prendendo a riferimento la previsione di cui all’art. 1850 c.c.), trattandosi di importi significativi rapportati alla complessiva situazione del conto e alla sua evoluzione nel tempo».