Il saggio esamina il ruolo del presidente del consiglio di amministrazione delle banche alla luce della Circolare n. 285/2013 della Banca d’Italia.
1. Premessa In applicazione dell’art. 53, comma 1, lett. d) del Tub, la Banca d’Italia nel marzo del 2008 aveva emanato le “Disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche”[1]. A seguito della consueta consultazione pubblica, la Banca d’Italia, con la Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013[2], ha apportato significative modifiche alle dette Disposizioni di vigilanza: esse recepiscono le novità introdotte dalla Direttiva 2013/36/UE (c.d. CRD IV) e dalle Linee Guida emanate dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) nel 2011 in tema di corporate governance di banche[3]. Per effetto di tali riforme, le Disposizioni sul Governo Societario sono giunte a valorizzare ulteriormente il ruolo del presidente del consiglio di amministrazione, attraverso una compiuta definizione delle sue funzioni ed enfatizzando particolarmente il suo ruolo di “garante” dell’efficienza dei lavori del board. È stato così confermato il duplice ruolo del presidente del consiglio di amministrazione all’interno della compagine societaria: da un lato, di prezioso “contrappeso” rispetto al potere gestorio degli amministratori esecutivi; dall’altro, di soggetto istituzionalmente deputato ad assicurare un più efficace funzionamento dell’organo amministrativo. Come si vedrà meglio nel prosieguo, la valorizzazione del ruolo del presidente del consiglio di amministrazione operata dalla Banca d’Italia risulta, oltre che coerente con le scelte operate dal legislatore per le società per azioni di diritto comune, essere in linea con le best practice in materia, rispetto alle quali – per taluni profili[4] – si spinge anche oltre. 2. – Il Presidente del Consiglio di Amministrazione nel codice civile. La riforma delle società di capitali, con riguardo alla posizione ed ai compiti dell’organo amministrativo delle società per azioni, si è mossa – come è noto - in una duplice direzione: da un lato, ha accentrato nelle mani degli amministratori le funzioni gestorie[5], erodendo, quindi, le residue competenze in materia di amministrazione che, prima della riforma, si riteneva potessero essere esercitate dall’assemblea[6]; dall’altro, si è premurata di individuare gli opportuni contrappesi rispetto al rafforzamento del potere gestorio degli amministratori, soprattutto di quelli esecutivi. Fra tali contrappesi va segnalata la nuova disciplina, contenuta nel vigente art. 2381, 1^ comma, c.c., concernente il ruolo del presidente del consiglio di amministrazione, a cui vengono assegnati specifici compiti, sia di bilanciamento rispetto al potere gestorio degli amministratori esecutivi; sia di soggetto istituzionalmente deputato ad assicurare un efficace funzionamento dell’organo amministrativo. [continua..]