Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Il piano attestato di risanemento previsto dall´art. 67, comma 3, lett. d) della legge fallimentare (di Ilenia Bianchi)


L’Autrice affronta l’argomento cercando di risolvere le due seguenti questioni: l’eventuale imputabilità all’attestatore della responsabilità per il cattivo esito del piano attestato e il potere di controllo, esercitabile dall’organo giudiziario, sull’idoneità dello stesso a risanare l’esposizione debitoria dell’impresa e a riequilibrare la sua situazione finanziaria. Principale metro di giudizio dell’attestazione dell’esperto è la valutazione dei livelli di professionalità e di diligenza impiegati dal medesimo nello svolgimento del suo incarico. In caso di insuccesso del piano, ruolo del giudice è quello di formulare una valutazione ex post della relazione del professionista che si è pronunciato in senso favorevole all’idoneità del programma di risanamento: verifica che deve effettuata con la ragionevolezza del giudizio ex ante, senza mai trascurare l’imprevedibilità dei cambiamenti del mondo imprenditoriale.

I. LA RESPONSABILITA’ DEL PROFESSIONISTA 1. Premessa. Nel 2012[1] il legislatore è intervenuto sulla disciplina fallimentare modificando i requisiti di cui deve essere dotato il soggetto che attesta il piano di risanamento previsto dall’art. 67, comma 3, lett. d) l.f. . Benché la novella non sia intervenuta direttamente in materia di responsabilità del professionista qui preso in considerazione, la previsione di requisiti di professionalità diversi rispetto al passato pare aver avuto risvolti anche sul trattamento degli “errori” commessi da quest’ultimo. Ante Decreto Sviluppo, il professionista nominato dall’imprenditore per attestare l’idoneità del piano di risanamento alla risoluzione della crisi che ha colpito la sua impresa era un soggetto che doveva risultare iscritto sia nel registro dei revisori, sia nell’albo dell’ordine professionale di appartenenza e che doveva possedere, ai sensi dell’articolo 67 terzo comma lettera d) della legge fallimentare, i requisiti indicati nell’articolo 28 lettere a) e b) della medesima legge. Tuttavia, il rinvio che nella disciplina dedicata al piano di risanamento l’articolo 2501 bis quarto comma del codice civile operava all’articolo 2501 sexies del medesimo codice doveva essere interpretato come limitato ai criteri che il professionista doveva rispettare per la redazione della sua relazione di attestazione; lasciando quindi al di fuori di questo metro valutativo il regime di nomina[2] e di responsabilità dello stesso.[3] Orbene, dal momento che il nuovo testo dell’articolo 67 terzo comma lettera d) della legge fallimentare non fa più alcuna menzione dell’articolo 2501 bis quarto comma del codice civile, questa problematica sembra non aver più ragione di esistere.   2. La responsabilità dell’attestatore: contrattuale ed extracontrattuale Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 106 del 2012, la tesi maggioritaria in tema di  responsabilità dell’attestatore era fondata sull’assunto in base al quale la stessa doveva essere individuata a prescindere dal rinvio che l'articolo 67 della legge fallimentare operava al contenuto dell’articolo 2501 sexies (Relazione degli esperti) del codice civile, norma che riguarda la disciplina dell’esperto incaricato di redigere la relazione sulla congruità del rapporto di cambio nell’ambito delle operazioni di fusione societaria.[4] Tuttavia, non era mancato chi aveva sostenuto la tesi opposta, ossia che l’individuazione del regime di responsabilità del professionista dovesse avvenire proprio in forza del rinvio dell’articolo 2501 bis (Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento) quarto comma del codice civile all’articolo 2501 sexies del medesimo codice, in tal caso propendendo per un’interpretazione che [continua..]

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