Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Un modello normativo: il T.I.S.C. Report di cui al Modern Slavery Act 2015 del Regno Unito (di Francesco Buccellato)


Attraverso le prescrizioni T.I.S.C. (acronimo di transparency in supply chains) di cui all’art. 54 dell’Antislavery Act il legislatore britannico impone alle imprese di attestare per ogni anno finanziario gli step fatti per assicurare che nella catena di fornitura e del business non trovi spazio alcuno sfruttamento di forced labour. Un’introduzione alla normativa: efficienza e criticità del modello normativo.

A regulatory model: the T.I.S.C. Report in United Kingdom Modern Slavery Act 2015

Through the T.I.S.C. requirements (acronym for transparency in supply chains) as per art. 54 of the Antislavery Act, companies have been required to certify statement of the steps the business has taken during the financial year to ensure that slavery and human trafficking is not taking place in any of its supply chains. An introduction to legislation: efficiency and criticality of the regulatory model.

Sommario: 1. Catene di approvvigionamento e lavoro schiavistico: un’evidenza che non ha solo rilevanza penale. – 2. Law and economics nella gestione del rischio “forced labour”. – 3. Alcune annotazioni a margine sull’efficacia dell’intervento normativo. 1. Catene di approvvigionamento e lavoro schiavistico: un’evidenza che non ha solo rilevanza penale Ringrazio la Fondazione e L’Osservatorio per il gentile invito e per l’occasione offertami di tornare a riflettere sul lavoro di ricerca che ho svolto con Matteo Rescigno e con altri autorevoli colleghi e amici, a partire dal convegno di Roma del 2014 [1], fino alla pubblicazione nel 2015 del libro Impresa e forced labour [2] e ai successivi incontri di approfondimento di Genova, Foggia, Perugia, Udine (...). Dalla morte di Iqbal Masih [3] nessuno può più dirsi inconsapevole del fatto che dietro tanti dei prodotti che acquistiano e consumiamo c’è sfruttamento di forced labour [4]. Una “perdita di innocenza” che molto più di quanto possa sembrare spiega le opzioni di politica legislativa oggetto del mio intervento, che si connotano innanzitutto come risposta a una richiesta di chiarezza e trasparenza da parte della società civile [5]. Nel 2015 il Regno Unito promulga l’Antislavery Act [6] e con esso, sul modello adottato nel 2010 dalla California (Transparency in Supply Chains Act), impone alle imprese di più grandi dimensioni una pubblica periodica attestazione circa i passi fatti per far sì che nel business e nella catena di fornitura non trovi spazio alcuna forma di modern slavery; affinché i consumatori non solo non debbano subire acquisti inconsapevoli di beni prodotti con sfruttamento di forced labour, ma possano concorrere a determinare il successo delle politiche di responsabilità sociale eventualmente adottate dalle imprese [7]. Il Modern Slavery Act 2015 è un ampio testo normativo, articolato su diversi piani di disciplina che affrontano organicamente il fenomeno, sul presupposto che esso non si riduca a episodiche violazioni di legge che la cronaca segnala, ma sia espressione di logiche di criminalità economica di ampia portata, pervasive anche del tessuto produttivo e del commercio. Alla riformulazione delle fattispecie di diritto penale [8] e a talune norme sulla giurisdizione segue l’istituzione di una specifica Authority, l’Indipendent Antislavery Commissioner (section 40), con funzioni di prevenzione, investigazione e perseguimento dei reati, identificazione e protezione delle vittime. Essa predispone ed attua piani strategici triennali, mentre dei risultati della sua azione dà conto su base annuale (s. 42). Nel suo primo piano strategico l’Antislavery Commissioner indica tra le sue priorità l’impegno nel settore privato per promuovere [continua..]

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