L’Autore affronta complessivamente l’istituto del merger leveraged buyout. Nel primo capitolo, si sofferma sulla sua natura giuridica (con un riferimento al dibattito, precedente la riforma del 2003, circa la sua liceità) e sui principali aspetti operativi. Nel secondo capitolo esamina attentamente la disciplina positiva concepita dal legislatore all’art. 2501-bis c.c., con particolare attenzione ai doveri degli amministratori ed al concreto oggetto delle numerose relazioni previste dalla legge. Nel terzo capitolo, infine, dopo aver delineato in breve i tratti della recente disciplina sull’attività di direzione e coordinamento di imprese, ne traccia un raccordo con la normativa sul merger leveraged buyout.
1. Il leveraged buyout: un’introduzione sull’istituto 1.1. Il dibattito italiano ante riforma “Tizio ha pochi soldi, qualche decina di milioni e c’è una società il cui controllo si può pagare 300 miliardi. I trecento miliardi erano nella liquidità della società, quindi se Tizio avesse chiesto 300 miliardi alla società in prestito ed avesse comprato il pacchetto azionario della stessa società ne sarebbe diventato il controllore. Questo non è consentito dalla legge, perché l'art. 2358 lo vieta espressamente. Tizio allora che cosa fa? Costituisce una piccola società, compra il pacchetto azionario di controllo per 300 miliardi, lo deposita a garanzia della banca che presta il denaro alla società [...], fonde le due società, prende 300 miliardi dalla società risultante dalla fusione che restituisce alla banca e così diventa proprietario della vecchia società, senza avere speso una lira. Se le cose vanno male, chi paga?”. I miliardi citati erano espressi in lire e l’anno di questo primo intervento in tema di merger leveraged buyout era il 1990. Da quel momento, dopo un acceso dibattito dottrinale, che ha trovato talora alcune conferme in giurisprudenza, il leveraged buyout (LBO) ha acquisito centralità nella prassi finanziaria – come preferenziale strumento di investimento usato dai fondi di private equity – ed anche una consacrazione legislativa, peraltro di rilevo. Infatti, nel 2003, il legislatore della riforma societaria ha ritenuto opportuno regolare la materia all’interno dello stesso codice civile (ed all’inizio della disciplina delle fusioni), all’art. 2501-bis. Il leveraged buyout consiste in una modalità di acquisizione societaria, in cui l’elemento di maggiore rilievo è rappresentato dall’indebitamento (leverage), tramite il quale l’operazione in questione è portata a termine. L’acquisizione è condotta da una società, spesso di recente costituzione, comunemente conosciuta come newco (new company), fornita di scarsi mezzi finanziari propri (equity) ed invece gravata da un consistente indebitamento nei confronti degli istituti di credito. La newco è, nella prassi di queste operazioni, una società meramente destinata alla gestione di partecipazioni azionarie e, quindi, senza una sottostante attività operativa; inoltre, è, di frequente, una società di capitali, o per azioni o a responsabilità limitata. La società oggetto del buyout, la c.d. target, svolge, per parte sua, attività di impresa. Anzi, l’attività di impresa da essa compiuta è il principale, se non unico, motivo per il quale si pone in essere l’acquisizione della target. Inoltre – elemento peculiare dell’istituto – “il debito contratto [continua..]