Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Attivismo degli hedge funds e tattiche difensive nel governo delle società quotate (di Ferruccio Maria Sbarbaro (Ricercatore di Diritto Commerciale nella Link Campus University di Roma))


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1. Considerazioni introduttive Il binomio corporate governance/capital markets sollecita la riflessione in ordine alla natura e alle caratteristiche del rapporto che intercorre tra i due elementi e, in specie, tra le dinamiche dei mercati finanziari e la corporate governance in senso ampio (oltre i confini del concetto di “governo societario”) [1]; nel senso che gli equilibri della corporate governance vengono inevitabilmente a essere toccati e mossi da alcune “forze” che animano il mercato dei capitali e agiscono quali vettori di governance, con direzione comune ma verso, talvolta, opposto. In particolare, da un lato il personale interesse [2] e dall’altro la crescente attualità, hanno spinto la riflessione de qua a concentrarsi su due tra i possibili vettori cui si accennava: il c.d. market for corporate control – e dunque la contendibilità del controllo nelle grandi società quotate – e il c.d. shareholder activism, con particolare riferimento agli hedge funds. Il primo, tuttavia, è vettore la cui reale operatività è fortemente dipendente non solo dall’apparato normativo di riferimento ma altresì – soprattutto –dalla struttura degli assetti proprietari; poco senso avrebbe, d’altronde, evidenziare i possibili effetti delle control transactions in termini di pressione/incentivo all’organo amministrativo della società bersaglio laddove non vi sia reale “scalabilità”, per la presenza di uno o più blockholder il cui consenso – quantomeno sotto forma di atto dispositivo della relativa partecipazione – è condizione per il mutamento soggettivo del controllo societario. È allora evidente che il contesto ideale di confronto debba individuarsi negli ordinamenti – come quello statunitense – in cui la struttura degli assetti proprietari delle società quotate sia tendenzialmente composta da un azionariato diffuso o addirittura disperso, in cui il controllo risulti quindi realmente “contendibile” e “scalabile” e simmetricamente risulti più marcato il trade-off tra azionariato e management per via delle asimmetrie informative e della “inoffensività” della singola partecipazione nell’ambito dei meccanismi di formazione della volontà assembleare. Sull’altro versante, vi sono tracce di una tendenza all’implementazione di politiche c.d. attiviste anche nel mercato “domestico” dei capitali; non solo, infatti, vi sono chiari riferimenti empirici alla crescente partecipazione assembleare, soprattutto da parte degli investitori stranieri [3], ma si riscontra altresì un aumento della frequenza, dimensione e rilevanza degli episodi di attivismo che interessano settori sensibili della finanza italiana (si pensi alle recentissime vicende legate a TIM). Non [continua..]

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