Relazione tenuta a Torino il 19 maggio 2017 nell’ambito del convegno su “La discrezionalità amministrativa e i limiti del sindacato giurisdizionale”.
1. Premessa: l’attività organizzatoria della P.A. in generale L’attività di organizzazione degli uffici da parte dell’Amministrazione, come attività con la quale essa dispone del proprio assetto organizzativo dotandosi dei mezzi e delle risorse necessarie ed organizzandole per il perseguimento degli interessi pubblici affidati alle sue cure, è stata per lungo tempo ricondotta all’area dell’attività di diritto pubblico [1] e intesa come funzione amministrativa esercitata attraverso poteri pubblicistici, traendo questa convinzione dalla strumentalità dell’apparato istituzionale dello Stato e degli Enti pubblici per la tutela degli interessi della collettività e dagli stessi principi di imparzialità e di buon andamento dettati dall’art. 97 Cost. proprio in tema di organizzazione pubblica. Nella moderna interpretazione si è abbandonata l’idea che l’attività organizzatoria della P.A. debba per forza avere i caratteri dell’attività pubblicistica e si preferisce dire che la scelta del tipo di regime giuridico – pubblico o privato – del potere di organizzazione dell’Amministrazione è un dato essenzialmente storico [2], che dipende dalle epoche (si pensi all’utilizzo e alla diffusione, di recente, del modello societario per la gestione dei pubblici servizi, o addirittura per lo svolgimento di funzioni amministrative); e significativamente M.S. Giannini, partendo dalla distinzione concettuale tra interessi finali e interessi strumentali delle Pubbliche Amministrazioni – i primi, corrispondenti alle funzioni pubbliche rivolte verso la collettività, i secondi concernenti l’organizzazione e il funzionamento dell’Amministrazione – già negli anni Settanta [3] aveva parlato di una natura neutra dell’attività organizzativa, che può quindi svolgersi indifferentemente attraverso potestà pubblicistiche come attraverso mezzi di diritto privato. Dal canto suo, la Corte Costituzionale, nelle pronunce in tema di privatizzazione del pubblico impiego che hanno preceduto la “seconda fase” degli anni 97-98 (sono, in particolare, le sentt. n. 313/1996 [4] e n. 309/1997 [5]), ha escluso che l’art. 97 Cost. stabilisca una sorta di riserva di regime pubblicistico per l’attività di gestione degli uffici pubblici ed ha ammesso l’utilizzo della disciplina di diritto comune ad un ambito che non attiene al momento necessariamente pubblico dell’azione amministrativa, se ciò consente di meglio garantire l’efficienza dell’azione amministrativa senza pregiudizio per l’imparzialità della stessa. La Corte ha, in questo modo, smentito il Consiglio di Stato che nel (noto e criticatissimo) [continua..]