Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo leggi articolo leggi fascicolo


I criteri statutari di liquidazione delle azioni e il principio del c.d. “going concern” (di Elena Fregonara)


La Corte di Cassazione nel valutare gli aspetti liquidatori nell’ambito di due clausole di prelazione, da un lato, dichiara legittimo il rinvio al principio della continuità aziendale, c.d. “going concern”, dall’altro lato, conferma la nullità della clausola che faccia esclusivo riferimento al criterio del “giusto prezzo”.

Il provvedimento della Suprema Corte offre l’occasione per affrontare due differenti profili in tema di determinazione statutaria del valore di liquidazione delle azioni, nel caso di specie emergenti da due clausole di prelazione, sui quali non si rinvengono precedenti. Come noto l’art. 2355 bis, secondo comma, cod. civ., applicabile a tutti i limiti statutari alla circolazione delle azioni, rimanda per la valutazione della quota di liquidazione delle azioni all’art. 2437 ter cod. civ.. È, dunque, sull’interpretazione delle previsioni contenute in questa norma che occorre soffermarsi: si tratta di metodi di valutazione che mirano a far emergere un valore effettivo delle azioni in sede di rimborso, tuttavia non senza una fisiologica discrezionalità nell’applicazione pratica. In particolare, la prima clausola prevedeva la prelazione in favore dei soci superstiti nel trasferimento mortis causa delle azioni del socio deceduto, stabilendo espressamente: «il prezzo delle azioni verrà determinato, (…), sulla base della consistenza patrimoniale valutata tenuto conto dell’utilizzo dei cespiti nella prospettiva della conservazione della continuità aziendale, delle prospettive reddituali della società, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni». La clausola riproduce il contenuto del secondo comma dell’art. 2437 ter cod. civ. introducendo un’ulteriore indicazione: la consistenza patrimoniale deve essere valutata alla luce del principio del c.d. going concern. Sul punto la Corte, partendo dal presupposto che il criterio della continuità aziendale risulta giuridicamente qualificato, si pone un quesito di diritto, rimasto senza risposta nei gradi di giudizio precedenti, e in particolare si interroga sul fatto «se  sia o non consentito prevedere statutariamente che la consistenza  patrimoniale, alla quale fa riferimento l'art. 2437 ter, comma 2, ai fini della liquidazione della partecipazione in caso di recesso (ma  anche, in virtù del richiamo operato dall'art. 2355 bis, comma 3, in caso di prelazione nella circolazione mortis causa), venga valutata secondo il criterio che tiene conto dell'utilizzo dei cespiti nella prospettiva della continuità aziendale (going concern)». A questa domanda il Collegio ritiene di rispondere in modo affermativo giacché la clausola statutaria in esame non viola il contenuto precettivo della norma imperativa di cui all'art. 2437 ter cod. civ. riguardante il criterio di determinazione del valore di liquidazione della partecipazione azionaria. In tale prospettiva la Corte osserva che «deve innanzitutto considerarsi come nella valutazione ai fini indicati della consistenza patrimoniale - alla quale fa riferimento la norma di legge richiamata - sia possibile, secondo la dottrina, adottare diversi metodi, nell'ambito di una  [continua..]

» Per l'intero contenuto effettuare il login

inizio