Relazione tenuta a Torino il 19 maggio 2017 nell’ambito del convegno su “La discrezionalità amministrativa e i limiti del sindacato giurisdizionale”.
1. Premessa Il riconoscimento dell’interesse legittimo pretensivo come posizione giuridica soggettiva di tipo sostanziale pone l’esigenza di assicurare ad esso forme di tutela efficaci ed adeguate. In tale contesto assume rilievo determinante la perdita di centralità del provvedimento e la “caduta del binomio” tra illegittimità dell’atto e annullamento retroattivo di esso con lo spostamento dell’oggetto della giurisdizione amministrativa dal mero atto all’intero rapporto tra amministrazioni pubbliche e amministrati. Sono tutti elementi storicamente conquistati dalla giurisprudenza amministrativa e che hanno determinato l’esigenza di configurare un articolato sistema di azioni, funzionale a realizzare effettivamente il sistema della giurisdizione sulla pretesa. Nell’interesse legittimo pretensivo, l’oggetto della posizione, tale da definirne il contenuto sostanziale (nel cd. lato interno della relazione) non è un “bene” già esistente nel patrimonio giuridico del titolare, bensì la stessa possibilità di conseguimento di un’utilitas per il tramite dell’esercizio del potere amministrativo anche negli ambiti della discrezionalità riconosciuta alla pubblica Amministrazione. Conseguentemente l’illegittimo esercizio del potere comporta un “vulnus” per la posizione giuridica di interesse legittimo il quale non può che ricevere riparazione se non per il tramite di una tutela del tipo ripristinatorio (per mezzo, cioè, sia dell’annullamento dell’atto che della condanna all’esercizio di una funzione pubblica per il ristabilirsi della “chance di conseguimento dell’utilità finale”) [1]. Come già era successo in passato per tanti istituti, poi successivamente codificati dal Legislatore (quali, ad esempio, i decreti cautelari monocratici, i limiti del potere di autotutela, i c.d. vizi non invalidanti ecc.), anche con riferimento alle azioni di accertamento e di condanna ad un facere, è stata la giurisprudenza (sostenuta dalla prevalente dottrina) a riconoscerne l’ammissibilità. Ciò fino a quando il Legislatore ha positivizzato l’azione di adempimento (nel secondo correttivo al Codice del processo amministrativo), con un intervento volto non tanto a riconoscerne l’ammissibilità, quanto piuttosto a sancirne i limiti, essendo stata ormai ammessa l’azione di condanna ad un facere dalla giurisprudenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato [2]. 2. La disciplina positiva dell’azione di condanna al rilascio di un provvedimento (c.d. “condanna pubblicistica”) Con il d.lgs. 14 settembre 2012, n. 160 è stato, infatti, approvato il testo del secondo “correttivo” al Codice del processo amministrativo, a sua [continua..]