Il contributo ha ad oggetto le sezioni specializzate in materia di impresa ed, in particolare, la tematica della distribuzione delle controversie tra queste e le sezioni ordinarie del medesimo tribunale. Si discute se l’assegnazione di una controversia alla sezione specializzata o a quella ordinaria sia riconducibile ad un problema di competenza in senso tecnico o, piuttosto, ad una mera ripartizione tabellare dell’ufficio giudiziario. L’autore analizza le diverse questioni in maniera analitica, fornendo alcune considerazioni critiche.
The “competence” of the Business Court The paper concerns the Business Courts and, in particular, the issue of disputes between these and the ordinary sections of the same court. It is argued whether the allocation of a dispute to the specialized or ordinary section is attributable to a problem of competence in the technical sense or, rather, a mere division of the judicial office. The author analyzes the various issues analytically, providing some critical considerations.
Sommario:
1. Il quadro normativo. – 2. Le finalità perseguite dal legislatore “innovativo”. – 3. Costituzione e iscrizione della start up innovativa: alcuni temi dibattuti. – 4. L’intervento del TAR Lazio: diversa la modalità di costituzione, diverse le conseguenze in caso di perdita dei requisiti di start up innovativa.
1. Il quadro normativo
Nell’ottica di consentire una più immediata comprensione delle questioni sottese alla decisione in commento [1], si ritiene utile ripercorrere la sequenza degli interventi normativi e regolamentari in materia [2]; ciò, per la verità, anche in ragione della asistematica tecnica normativa adottata dal “legislatore innovativo”.
Il punto di partenza è, ovviamente, il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. Decreto Crescita bis), convertito con modifiche nella l. 17 dicembre 2012, n. 221, che, con l’obiettivo di «favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile […]» (cfr. art. 25), ha introdotto nel nostro ordinamento la start up innovativa (nonché la start up a vocazione sociale e l’incubatore di start up innovative certificato) e disciplinato la raccolta di capitali di rischio tramite portali on line (c.d. equity crowdfunding, cfr. art. 30), strumento di cui l’impresa così “vestita” può avvalersi per crescere e strutturarsi, conformemente alla ratio e all’obiettivo richiamato [3].
Già a pochi mesi di distanza dal predetto intervento, il legislatore, con il d.l. 28 giugno 2013, n. 76 (c.d. Decreto Lavoro), convertito con emendamenti nella l. 9 agosto 2013, n. 99, ha ravvisato la necessità di “ritoccare” la neonata start up innovativa [4].
Successivamente, il d.l. 31 maggio 2014, n. 83 (c.d. Decreto Cultura e Turismo), convertito nella l. 29 luglio 2014, n. 106, ha introdotto la start up turismo, mentre, il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 (c.d. Decreto Investment Compact), convertito con modifiche nella l. 24 marzo 2015, n. 33, al precipuo scopo di «favorire l’avvio di attività imprenditoriale e con l’obiettivo di garantire una più uniforme applicazione delle disposizioni in materia di start-up e di incubatori certificati», ha ulteriormente modificato la start up innovativa e, allo stesso tempo, ha introdotto la figura della piccola media impresa (PMI) innovativa [5].
Tra le modifiche apportate dal Decreto Investment Compact (e dalla successiva legge di conversione), alla disciplina della start up innovativa, ve ne è una che merita particolare attenzione nell’ambito del presente commento: in particolare, la l. 33/2015, all’art. 4, comma 10-bis, ha previsto che l’atto costitutivo (e le successive modifiche) della start up [continua..]