Il Nuovo Diritto delle SocietàISSN 2039-6880
G. Giappichelli Editore

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Le banche fallivano anche a Roma: il crack di Callisto all'epoca di Commodo (di Maria Antonietta Ligios)


Il saggio analizza un passaggio tratto da Ippolito (ref. 9.12.1-9)riguardante l’insolvenza di una banca posseduta dal liberto Carpoforo, un membro della comunità cristiana. La banca fu gestita da Callisto uno schiavo di Carpoforo. La vicenda viene analizzata giuridicamente sulla base degli orientamenti giurisiprudenziali in materia di fallimento.

1.                  Premessa La presenza a Roma di attività che oggi potremmo definire 'finanziarie', è attestata fin da epoca assai risalente. Per esempio, Livio menziona l'esistenza di tabernae argentariae nel foro già in­torno al 310 a. C. [1]. Per un periodo più recente, a ridosso delle guerre puniche, abbiamo le ben note testimonianze di Plauto[2]. In particolare, la crescente egemonia romana nel bacino del Medi­terraneo, che ha inizio con la vittoria nella I guerra punica, comporta una incisiva trasformazione dell'economia e, di conse­guenza, il credito assume il ruolo di fattore trainante delle sempre più numerose attività commerciali che si sviluppano, si consolidano e si affermano a partire da questo periodo[3]. La complessità e il rilievo del fenomeno creditizio nell'economia romana[4] sono riflesse nella stessa varietà di termini che desi­gnano sia il 'banchiere' in senso lato sia il professionista specializ­zato nell'esercizio di specifiche attività finanziarie[5]. Inol­tre l'esercizio delle attività creditizie e, in particolare, del pre­stito a interesse, non è limitato a figure 'professionali'[6], ma è ampiamente praticato da privati[7] che in tal modo investono profi­cuamente parte dei loro patrimoni e, soprattutto, i redditi scaturenti dall'esercizio di attività produttive, in primis quelle agricole[8]. Dal punto di vista della disciplina giuridica, si devono segna­lare, a partire dall'epoca tardo-repubblicana, gli editti pretorî[9], concernenti specificamente gli argentarii, appunto i banchieri, e poi in età imperiale, a partire da Adriano, l'affermazione della competenza extra ordinem del praefectus urbi[10] (che così si af­fianca a quella del pretore nell'ordo iudiciorum privatorum), per quelle liti nelle quali una delle parti sia un argentarius o un nummu­larius[11]. In questo contributo, tra i tanti aspetti concernenti l'esercizio dell'attività bancaria, concentrerò l'attenzione sul tema del disse­sto della banca. L'obiettivo è cercare di chiarire quali fattori economici o di mer­cato potevano determinare la crisi di una banca e quali proce­dure giudiziarie conseguivano allo stato di crisi, quando cioè il dissesto era conclamato e i creditori lamentavano l'insolvenza del banchiere.     2.                  La narrazione di Ippolito Si può provare ad affrontare queste tematiche ripercorrendo la vicenda del fallimento della banca amministrata da Callisto, schiavo del liberto imperiale Carpoforo[12], vicenda che si svolse a Roma sotto Commodo, probabilmente nel 188 d. C.[13], e che all'epoca dovette destare un certo scalpore, specialmente [continua..]

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