La procedura di collaborazione volontaria è stata introdotta dalla legge 15 dicembre 2014 n. 186: essa consente la regolarizzazione ai fini fiscali di patrimoni illecitamente detenuti all’estero. Il proposito dell’articolo è di porre l’attenzione sulla problematica relativa ai prelevamenti di denaro contante dai conti esteri oggetto di regolarizzazione.
La legge 15 dicembre 2014 n. 186 ha introdotto nell’ordinamento la procedura denominata collaborazione volontaria, tramite la quale è possibile la regolarizzazione a fini fiscali dei patrimoni illecitamente detenuti all’estero. Non è proposito del presente scritto quello di delineare i contorni soggettivi ed oggettivi della procedura, quanto quello di evidenziare una criticità che preoccupa i professionisti che prestano la loro assistenza ai contribuenti che hanno commesso gli illeciti dichiarativi sanabili con la citata procedura. Ci riferiamo, in particolare, alla problematica connessa con i prelevamenti di denaro contante dai conti esteri oggetto di regolarizzazione. Sino alla emanazione della Circolare 16 luglio 2015 n. 27/E, infatti, gli operatori erano propensi ad utilizzare, quale metro di misurazione della “pericolosità” dei prelievi di contante, le modalità con le quali l’Agenzia delle Entrate tratta gli stessi in occasione delle c.d. “indagini finanziarie”, normate dall’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600. Brevemente riassumendo, le operazioni di prelievo dai conti correnti non rilevano ai fini dell’accertabilità di redditi per i contribuenti che non esercitano attività d’impresa o di lavoro autonomo né, dopo la nota sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, per i soggetti che esercitano attività di lavoro autonomo. Dunque, esse diventano rilevanti ai fini della necessità di fornire giustificazioni solo per i soggetti che esercitano attività d’impresa. Anche dopo l’emanazione della prima circolare a commento della normativa (13 marzo 2015 n. 10/E) non pareva che le operazioni di prelievo di contante fossero idonee a costituire ostacoli perigliosi nel processo di emersione delle attività estere: il documento di prassi in questione, infatti, si limitava ad affermare che “al fine, poi, di comprendere l’evoluzione delle attività estere oggetto della procedura di collaborazione volontaria, il contribuente dovrà dettagliare gli incrementi e i decrementi del valore patrimoniale di tali attività, evidenziandone la rilevanza o irrilevanza ai fini della normativa tributaria o del monitoraggio fiscale”. Pareva, cioè, che dopo aver “dettagliato” (ovvero, ben evidenziato) i decrementi ed averne “evidenziato la rilevanza o irrilevanza” ai fini fiscali, nessun altro incombente dovesse gravare sul contribuente. Del resto, l’articolo 5-septies, comma 2, del D.L. 28 giugno 1990 n. 167, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 agosto 1990 n. 227, per come modificato dalla L. 15 dicembre 2014 n. 186, stabilisce a carico del soggetto che aderisce alla procedura di collaborazione volontaria l’obbligo di rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà con la quale attesta, tra [continua..]